Inventai dunque una me stessa che voleva un'aggiunta al mondo J'inventai donc une autre moi-même qui voulait un ajout au monde
Anna Maria Ortese

Silvia Ricci Lempen, écrivaine, scrittrice

J’écris. J’ai écrit, j’écris, j’écrirai. Je raconte des histoires. Je me bagarre avec les idées. J’écrivais, je suis en train d’écrire, j’aurai écrit.
Scrivo. Ho scritto, scrivo, scriverò. Racconto storie. Mi accapiglio con le idee. Scrivevo, sto scrivendo, avrò scritto.

Sembra un romanzo : modeste considerazioni sull’universale in letteratura

Conferenza di apertura della Biennial Conference of the Society for Italian Studies, University of Wales Bangor, 4-6 July 2007.

In un articolo pubblicato su L’Espresso il 28 giugno 1981, intitolato «Italiani, vi esorto a leggere i classici», Italo Calvino ha proposto 14 definizioni del classico letterario, di cui la prima è : «I classici sono quei libri di cui si sente dire di solito : «Sto rileggendo…» e mai «Sto leggendo…»». Così si esprimono in particolare, dice Calvino, coloro di cui si suppone che siano persone di «vaste letture», per nascondere l’imbarazzo di non aver letto tale o tal’altro libro famoso.

Per quanto mi riguarda, provo molta simpatia per chi ricorre a questo tipo di piccola impostura, specie in questo momento in cui devo cercare di convincervi che sono degna del grande onore che mi viene fatto : parlare in apertura di un convegno i cui partecipanti sono tutti, sicuramente, molto più sapienti di me in campo letterario. Io non sono una storica della letteratura, sono una semplice scrittrice che cerca di capire qualcosa sul difficile tema del valore letterario e su cosa significa essere un grande scrittore – il lontano ideale al quale chiunque si impegna nella scrittura sogna di avvicinarsi almeno un pò. Per prima cosa vorrei quindi ringraziare della fiducia che mi è stata data e sottolineare che ciò che sto per dire è il frutto di modeste riflessioni personali e non certo di una cultura enciclopedica.

Ma torniamo a Calvino. Dopo l’esordio ironico che ho or ora citato vengono, come ho detto, altre 13 definizioni, di cui una in particolare mi ha colpito quando ho, non già riletto, ma letto l’articolo, che è stato ripubblicato come introduzione ad una raccolta di saggi curata da Esther Calvino e intitolata «Perchè leggere i classici». Questa definizione, la decima, dice così : «Chiamasi classico un libro che si configura come equivalente dell’universo, al pari degli antichi talismani». Nel breve commento che segue la definizione, Calvino spiega che il libro-universo contiene se stesso e il contrario di se stesso, cioè fornisce il mezzo di prendere posizione di fronte alla infinita diversità del mondo. Dei classici si usa dire che appartengono alla «letteratura universale», e Calvino, con questa decima definizione, sembra suggerire una sua interpretazione di questo concetto : il classico è universale  (ha le dimensioni dell’universo) perchè ci aiuta a sapere dove siamo nel tempo e nello spazio e a costruirci un punto di vista sulla variegata totalità dell’umano.

L’universale, in letteratura, è quindi un concetto paradossale. Ha una portata universale il libro che, allo stesso tempo, da accesso alla totalità dell’umano e sancisce la necessaria parzialità di tale accesso. Dice un pò  la stessa cosa lo scrittore messicano Carlos Fuentes in un articolo apparso nel dicembre 2005 su Le Monde Diplomatique, in occasione del quattrocentesimo anniversario della pubblicazione del «Don  Quichotte». Per Carlos Fuentes, di tutte le forme letterarie il romanzo è per eccellenza quella che può assurgere alla dimensione dell’universalità, la quale viene così descritta dallo scrittore messicano : « Penetra nel tuo proprio io e scopri il mondo, ci dice il romanziere. Ma il romanziere ci dice anche : Percorri il mondo e conosci te stesso». Ritroviamo qui, sotto un altra forma, il paradosso adombrato da Calvino, quello dell’interdipendenza fra l’accesso all’universalità e la costruzione di un punto di vista che per definizione è particolare.

Se prendiamo sul serio l’idea di questa interdipendenza come condizione inderogabile dell’accesso all’universalità, ci dobbiamo però immediatamente porre una domanda : in questa dialettica serrata fra la totalità dell’umano e l’unicità del punto di vista, che si alimentano e costruiscono vicendevolmente, non sarà per caso che certi punti di vista vengono classicamente (appunto) considerati come più adeguati di certi altri per fungere allo stesso tempo da antitesi e da incarnazione della totalità ? In altri termini, quando si parla di «romanzi universali», non sarà per caso che l’universalità, sotto sotto, lungi dall’essere un valore assoluto, rispecchia solo una certa visione della totalità dell’umano, quella che allo stesso tempo si svela da certi punti di vista considerati più legittimi di altri e contribuisce a produrli ?

L’affidabilità del concetto di universalità viene oggi discussa in tutti i campi dello scibile. Come tutti sappiamo, l’universalità è un’invenzione dell’illuminismo, mediante la quale si pretendeva rendere conto  di ciò che accomuna gli esseri umani fra di loro e dare un fondamento ai  loro eguali diritti e doveri in quanto cittadini. Ma fra coloro che sbandieravano questo concetto non pochi mettevano in dubbio  che gli indigeni scoperti in varie parti del mondo dagli esploratori occidentali di quell’epoca appartenessero alla razza umana ; e in quanto alla nozione universale di cittadinanza, si sa che la metà femminile della popolazione ne era esclusa. Enormi passi avanti sono stati fatti nella presa di coscienza di tali aberrazioni ; nell’ambito dei «cultural studies» basta pensare, ad esempio, al magistrale lavoro di decostruzione della pretesa universalità dei valori culturali occidentali compiuto da Edward Saïd. Per parte mia, vorrei, in tutta modestia, tentare di portare avanti un embrione di riflessione sull’universale in letteratura, e in particolare nel romanzo, a partire dalla mia doppia identità di scrittrice svizzera non germanofona e di scrittrice che non è uno scrittore, cioè di donna che scrive.

Il mio punto di partenza è una inchiesta pubblicata sul supplemento culturale del quotidiano della Svizzera romanda Le Temps il 28 aprile di quest’anno, in occasione del «Salon du Livre» di Ginevra. Il giornale aveva selezionato una cinquantina di personalità della Svizzera romanda – artisti, politici, scienziati, gente dei media ecc. – ai quali aveva posto la seguente domanda : «Quali sono i 5 romanzi svizzeri di tutte le epoche che bisognerebbe assolutamente aver letto ?» Chi conosce anche approssimativamente il contesto culturale svizzero sa che il concetto di letteratura svizzera è già in sè discutibile. L’identità di una letteratura riposa sulla lingua, e in Svizzera si scrive in quattro lingue : il tedesco, il francese, l’italiano e il romancio. L’orizzonte comune a tutti gli scrittori ed a tutti i lettori costituito, ad esempio, in Italia, dalla lingua italiana, in Svizzera non esiste. Tuttavia, parlare di «romanzi svizzeri» non è un’assurdità, perchè malgrado il divario linguistico esistono in Svizzera alcuni punti di riferimento culturali intorno ai quali si cristallizza un sentimento di appartenenza nazionale e che svolgono la stessa funzione svolta, in altri campi, da istituzioni come le Ferrovie Federali o la catena commerciale Migros, capillarmente presente su tutto il territorio.

A dimostrazione di ciò, parecchi degli autori più frequentemente citati dalle personalità romande interrogate da Le Temps  sono autori non francofoni. Il top five che il giornale mirava a stabilire si è dovuto trasformare in top six perchè due autori sono arrivati ex æquo, e fra questi sei autori, citati fra 21 e 11 volte, figurano i francofoni C.F. Ramuz, Blaise Cendrars e Nicolas Bouvier ma anche i non francofoni Robert Walser, Fritz Zorn e Friedrich Dürrenmatt. Se aggiungiamo a questi sei quelli citati fra 9 e 6 volte, troviamo i francofoni Jean-Jacques Rousseau e Jacques Chessex ma anche il non francofono Max Frisch. Il che significa che autori come Walser, Zorn, Dürrenmatt e Frisch si vedono attribuire, appunto perchè citati molteplici volte da un pubblico appartenente ad una comunità linguistica diversa dalla loro, l’invidiabile statuto di classici nazionali, e una qual certa dimensione universale nell’ambito di un paese frammentato dai particolarismi linguistici e culturali.

A questo punto, però, avrete già notato che laddove io dico «autori non francofoni» dovrei dire, in realtà, «autori di lingua tedesca». La terza comunità linguistica svizzera in termini numerici, la comunità italofona, non ha nessun rappresentante nel pantheon dei classici nazionali delineato dall’inchiesta de Le Temps. Ed anche scendendo giù nella graduatoria, fino agli autori citati una sola volta, che sono una sessantina, troviamo un solo ed unico ticinese, Plinio Martini. Per fare un solo esempio, un autore di altissimo talento e di chiara fama come Giovanni Orelli, forse il più noto degli scrittori ticinesi contemporanei (nato nel 1928) , che nei suoi romanzi non dice cose meno importanti sulla Svizzera e sul suo rapporto col mondo di quelle che dicono Dürrenmatt o Frisch,  non è stato menzionato da nessuno (e conviene qui rammentare che le persone interrogate non sono state scelte a caso fra gli avventori della Migros il sabato mattina, bensì appartengono tutte alla classe colta). Perchè Dürrenmatt è un classico svizzero e Orelli non lo è agli occhi di un pubblico francofono colto ?

A questa domanda possiamo tentare di rispondere riprendendo la questione del punto di vista. Non si tratta soltanto della dimensione particolare del punto di vista, si tratta della sua dimensione costruttrice di universalità. L’universalità emerge dalla dialettica fra un certo punto di vista e la totalità dell’umano, il che significa che ciò che viene considerato come la totalità dell’umano dipende dal punto di vista che allo stesso tempo costruisce questa totalità e si costruisce di fronte ad essa. Quando Calvino dice che il classico allo stesso tempo è l’equivalente dell’universo e contiene il contrario di se stesso, non bisogna dimenticare che l’universo e le contraddizioni che lo spaccano vengono sempre riconosciuti e legittimati come tali da un certo punto di vista particolare. Il punto di vista particolare di Dürrenmatt è quello di uno scrittore di lingua e cultura germanica in un paese dove la lingua e la cultura germanica sono largamente dominanti ed implicitamente riconosciute come orizzonte privilegiato dell’universale nazionale ; il punto di vista di uno scrittore ticinese, anche grande, è quello dell’esponente di una lingua e di una cultura marginali sul piano nazionale, a cui manca implicitamente l’autorità per dire sia l’universale sia le sue spaccature.

L’universale, insomma, è sempre una costruzione che riflette una relazione di potere, ragion per cui alle quattordici definizioni di Calvino se ne potrebbe aggiungere una quindicesima che suonerebbe così : «Chiamasi classico un libro il cui punto di vista particolare, in virtù dei rapporti di forza culturali, politici e sociali  all’interno dei quali si iscrive, viene percepito come una legittima incarnazione dell’universale umano».

Un celebre motto del femminismo degli anni settanta diceva così : «C’è sempre qualcuno che è più ignoto del milite ignoto, ed è la moglie del milite ignoto» . Nel Dizionario delle letterature svizzere pubblicato nel 1991, alla voce «Donne. Svizzera italiana : voci femminili», si può leggere che le donne della Svizzera italiana si sono messe a scrivere letteratura soltanto a Novecento inoltrato. Descrivendo il periodo precedente, così dice l’autore della voce : « La penna è strumento maschile ; penna e donna sembrano respingersi a vicenda. La donna può prendere in mano la penna per un pò di conti di casa, per scrivere rare e scarne notizie ai lontani da casa, agli emigranti (…) Quando poi la situazione cambia, all’interno della Svizzera italiana sembra che la donna si conceda solo, almeno agli inizi, di frequentare giardini dimessi…». La storica della letteratura  ticinese Franca Cleis sostiene che tale valutazione non è esatta, io per parte mia non ho conoscenze sufficienti per poter avere una opione in merito. Vorrei però soffermarmi su una ironica riflessione di Franca Cleis a commento della prima frase del passo che ho or ora citato. Qual’è lo strumento maschile al quale si riferisce l’autore di questo passo, si domanda Franca Cleis, la penna o il pene ?

Con questo gioco di parole, la ricercatrice ticinese apre un altro capitolo della problematica del presunto universale letterario. In Svizzera, un romanzo scritto in tedesco da un autore radicato nella cultura germanica dominante ha maggiori probabilità di essere considerato come un’opera che dice qualcosa di fondamentale sulla condizione umana, e che bisogna quindi assolutamente aver letto, di quante ne abbia un romanzo scritto in italiano da un autore che rappresenta una piccola minoranza culturale ; ma lo stesso vale, in Svizzera e in molte altri parti del mondo, per quanto riguarda, da un lato, gli autori che hanno il pene a sostenere la penna e dall’altro le autrici che non lo hanno. Nel bell’articolo sui romanzi universali al quale mi sono riferita poco fa, tutti gli esempi menzionati e sviluppati da Carlos Fuentes sono di scrittori uomini, a parte una scarna allusione a Nadine Gordimer. E tornando all’inchiesta de Le Temps, possiamo constatare che la prima donna che figura nella graduatoria, Corinna Bille, ottiene solo cinque menzioni, e che Alice Rivaz,  autrice di un’opera vasta, esteticamente originalissima e molto impegnata sul fronte dei rapporti fra uomini e donne, ne ottiene soltanto una. Sarà perchè fra le personalità interrogate da Le Temps ci sono solo 12 donne, mentre gli uomini sono 42 ? Forse un pò, ma non in modo decisivo, perchè le donne interrogate citano pure loro, salvo eccezioni, prevalentemente autori maschi. In gergo femminista, questo fenomeno si chiama l’interiorizzazione della dominazione maschile. Donne e uomini sono press’a poco ugualmente convinti e convinte che la letteratura universale è cosa da uomini. Il che non significa, specie ai giorni nostri, che le scrittrici femmine non siano apprezzate ; anzi, molti best-seller contemporanei sono libri di donne ; ma quando si tratta di cose serie, di libri che bisogna aver assolutamente letto, di classici ai quali conferire una dimensione universale,  quelli scritti da donne non ce la fanno quasi mai a farsi avanti.

A questo punto bisognerebbe aprire una discussione di fondo che mi manca il tempo di introdurre, e alla quale posso solo accennare. Ai libri delle donne la dimensione universale viene per lo più negata perchè, prima ipotesi,  l’universo che rispecchiano è un universo di stampo femminile, dunque particolare, che non regge il confronto con l’universo autentico, per definizione di stampo maschile ? Oppure invece, seconda ipotesi, perchè la loro pretesa a rispecchiare l’universo autentico è per principio destinata a fallire, dato che alle scrittrici manca, ahimè, quel famoso strumento puntuto che funge da chiave all’universale ? Insomma, di che cosa sono colpevoli le donne, di vestirsi di rosa o di provare a non vestirsi di rosa ? Lasciamo la domanda aperta, e l’ultima parola a Nabokov, che almeno osò un giorno essere sincero dichiarando : «Ho dei pregiudizi  contro tutte le donne che scrivono.Appartengono ad un’altra categoria.»

Per concludere, vorrei però ancora dire due parole sull’ostacolo maggiore che in letteratura come in politica e in molti altri campi impedisce a molteplici gruppi umani di essere riconosciuti come legittimi vettori dell’universalità umana. Quest’ostacolo consiste nel fatto che, prima ancora di poter essere discussa, contestata o difesa, l’equiparazione dell’universale all’universo di un gruppo particolare dovrebbe almeno essere vista, riconosciuta – mentre di fronte a questo fenomeno è di regola la più caparbia cecità. Basta pensare al linguaggio, all’uso comune delle parole. Nella Svizzera tedesca vengono regolarmente pubblicati articoli di giornali o di riviste, saggi letterari, antologie e via dicendo che contengono, nel titolo, espressioni come «la letteratura svizzera», «il romanzo svizzero», «i drammaturghi svizzeri» ecc., e che in realtà parlano soltanto della letteratura svizzera tedesca, del romanzo svizzero tedesco, dei drammaturghi della Svizzera tedesca. Se questa scorrettezza viene fatta osservare agli autori di tali articoli, saggi o antologie, queste brave persone cascano dalle nuvole e magari sul momento si scusano, ma commettono la stessa scorrettezza la volta successiva, tanto è forte, nella loro mente, il legame fra la parola universale «Svizzera» e la realtà particolare della loro regione linguistica. Ci devono sbattere il naso per rendersene conto, e poi subito lo dimenticano.

Ancora molto più grave e più anticamente fossilizzata sotto uno spesso strato di pregiudizi antropologici e filosofici,  quindi ancora più invisibile, è l’equiparazione fra il maschile e l’universale  rispecchiata dall’uso comune, in particolare nelle lingue latine, della parola «uomo», che significa allo stesso tempo maschio ed essere umano.  E lo stesso dicasi, ad esempio,  della parola cittadino, la cui doppia valenza, particolarmente in Svizzera, ha permesso di giustificare il fatto che, fino al 1971, le donne erano cittadini neutri come gli altri quando si trattava di pagare le tasse e non erano cittadini quando si trattava di votare. Ragion per cui ancora oggi si continua ad insegnare ai bambini delle scuole che la Svizzera, che ha dato il diritto di voto alle donne più tardi degli altri paesi europei, è la più antica democrazia d’Europa. L’inchiesta de Le Temps suggerisce che, anche trattandosi della parola scrittore, l’associazione surrettizia con la virilità ai giorni nostri non è ancora superata, il che significa che le donne partono con un handicap notevole quando si tratta di candidarsi all’ universalità letteraria ; ed anche in questo campo la confusione sembra rimanga largamente invisibile e quindi particolarmente difficile da combattere. I giornalisti che commentano l’inchiesta de Le Temps fanno notare, anche se brevemente, l’assenza  praticamente totale degli scrittori italofoni nella graduatoria, ma non dicono assolutamente nulla sul fatto che nessun libro di  scrittrice donna, anche fra le più grandi, compare fra i più frequentemente citati. Occhio non vede, cuore non duole, e chissà ancora per quanto tempo a dolersi dell’esclusione di quasi tutte le donne dal cerchio dei legittimi produttori di universalità letteraria saranno soltanto le incorreggibili scrittrici femministe come me.